intervengo
quale Presidente di As.Pe. Carige, associazione fra ex-dipendenti
della Banca, costituita nella primavera del 2013 quando ormai le
notizie della “mala gestio”
sotto la presidenza Berneschi stavano aprendo gli occhi a soci,
clienti, dipendenti e pensionati della Banca, e persino agli
estimatori di quello stile di direzione.
Devo
qui ricordare che per lungo tempo i dipendenti e i pensionati furono
indotti e sollecitati a sottoscrivere azioni della “propria”
banca (e in molti investirono anche l’intera liquidazione) per cui
il danno da loro subito è risultato relativamente più elevato di
quello di tanti altri piccoli azionisti.
Ciò
nonostante la speranza di veder rinascere quella che era stata una
antica e gloriosa istituzione legata al territorio non è mai venuta
meno e quantomeno in occasione del primo aumento di capitale
l’adesione è stata pressoché totale anche se nel seguito si è
rivelata un’operazione drammaticamente deludente.
Nel
primo piano di ristrutturazione aziendale sono state sottostimate le
perdite emergenti in modo da contenere l’importo dell’aumento di
capitale nella misura che il mercato era in grado di assorbire, ma
nelle fasi successive i nodi sono venuti al pettine e le continue
fughe di notizie sulle divergenze interne hanno fatto perdere altri
preziosi punti nella fiducia di clienti e risparmiatori, preoccupati
dall’avvento del “bail in” e sconcertati dalla girandola del
personale e dai numerosi, spesso non comprensibili, avvicendamenti
dirigenziali dall’esterno, specie nel settore operativo laddove è
invece necessaria una approfondita conoscenza del territorio e della
clientela.
Pensavamo
che in presenza di una tempesta di queste dimensioni tutti i
governanti la nave collaborassero per superare il fortunale e
rimandassero la composizione dei loro contrasti al raggiungimento di
un “porto sicuro”, invece si assiste ad un ulteriore atto di
autolesionismo.
Come
è noto, la Banca deve affrontare due grandi problemi che richiedono
una risposta univoca: la carenza di mezzi propri e la perdita di
operatività; entrambi gli schieramenti dei principali azionisti
propongono ora candidature aventi competenze tecniche ed esperienze
specifiche adeguate, che prima difettavano anche se i nomi erano di
prestigio, e quindi si intravvede la possibilità di gestire il
recupero dell’immagine e delle potenzialità latenti di una banca
che non ha perso del tutto la vocazione e l’appeal di Cassa di
Risparmio locale.
Si
ha motivo di ritenere che una congrua e definitiva iniezione di
capitali freschi in misura superiore a quella perorata dalla BCE,
creerebbe un immediato circolo virtuoso e consentirebbe ai nuovi
amministratori di assumere decisioni economiche ponderate, non
dettate dall’urgenza di concludere, riguardo alla cessione degli
immobili e delle sofferenze, e di dedicarsi alla riorganizzazione
della struttura aziendale e alla cura della clientela in un clima di
cessata emergenza e di ritrovata fiducia dei mercati.
I progetti dei due gruppi principali, che
potrebbero alla fine contare su di un numero uguale di Consiglieri,
sono entrambi condivisibili negli obiettivi, ma vaghi nei mezzi per
raggiungerli; fra le due opzioni, i nostri associati si sono
prevalentemente espressi a favore della lista del Socio Malacalza, se
non altro per ragioni affettive rispetto al tentativo di conservare
l’autonomia della Banca e quale riconoscimento dell’impegno
finanziario personale, che sinora ha permesso di evitare il peggio.
Concludendo:
-
bisogna prendere atto che il capitale netto contabile è
rappresentato per la quasi totalità da crediti d’imposta,
difficilmente recuperabili in mancanza di utili d’esercizio o di
una fusione che rispetti tutti i vincoli fiscali vigenti, e si deve
altresì considerare che la copertura al 50% dei crediti deteriorati
non sembra tale da consentire, viste le attuali difficili condizioni
di mercato, una veloce e indolore cessione delle sofferenze per
liberare capitale senza incorrere in ulteriori perdite di gestione.
-
nell’interesse di tutti gli stakeholders,
della città di Genova - che non ha davvero bisogno che crolli un
altro ponte - e dei principali azionisti che, avendo creduto nel
rilancio dell’azienda, devono difendere le loro posizioni
pregresse, riteniamo che avrebbe senso evitare la strategia dei
rinvii per concentrarsi subito sulla ricapitalizzazione della banca,
possibilmente rinunciando alla garanzia dei consorzi, troppo onerosi
col rating attuale e controproducenti nel caso di insuccesso,
confidando questa volta nella trasparenza e nel buon fine
dell’operazione.
-
qualora i gruppi azionari che entreranno in Consiglio si facessero
carico del prestito convertibile di € 200 milioni già approvato e
lanciassero un ulteriore aumento di capitale, riservato e frazionato
fra piccoli azionisti, per almeno altri € 200 milioni in azioni
privilegiate, convertibili in ordinarie con un rapporto molto
favorevole, forse riuscirebbero a coagulare il consenso e i fondi
necessari per uscire dalla crisi, con i minori danni possibili per
tutti i soggetti verso i quali la Banca ha una responsabilità
sociale.
L’ulteriore
investimento potrebbe essere recuperato con profitto nel medio
periodo conservando un’istituzione che, in passato, ha contribuito
allo sviluppo dell’occupazione e dell’imprenditoria dando ampio
sostegno al terzo settore della nostra Regione.
As.Pe.
Carige, con i suoi 650 soci ben radicati con le loro famiglie su
tutto il territorio ligure, sarebbe ben lieta di poter collaborare
con i nuovi vertici. per l’attuazione di realistici e incisivi
interventi di supporto atti a promuovere l’attività e l’immagine
della Banca.