Premesso
il sincero apprezzamento per la chiarezza con cui l’Amministratore
delegato ha esposto la situazione della Banca, anche se
frequentemente messa a confronto con un campione d’aziende di
credito che non hanno certo brillato in virtuosità di gestione,
debbo dire che “AS. PE. Carige”,
l’Associazione Pensionati del Fondo integrativo aziendale che
rappresento, e i soci che hanno dato delega non approveranno il
Bilancio 2013 anche se registra e chiude un periodo di gestione
negativa della Banca. Pur trattandosi di un gesto simbolico, non è
stato deciso in Consiglio a cuor leggero, soprattutto se si ricorda
che il 30/9 dello scorso anno avevamo condiviso:
la
soluzione di continuità nella governance
aziendale;
le
necessità dell’intero aumento di capitale di 800 milioni;
il
ri-orientamento strategico di Carige, confermato dal recente piano
industriale, che prevede una più congrua valutazione degli attivi
di bilancio e la programmata adozione di nuovi modelli organizzativi
e gestionali, con l’abbandono dell’improvvida strategia di
crescita dimensionale perseguita dal management a qualsiasi prezzo,
anche dopo lo scoppio della crisi.
Di
fronte al disastro di quasi 3
miliardi di perdite emergenti
(rettifiche al lordo dei crediti d’imposta, che nella migliore
delle ipotesi pagheranno i contribuenti), non tutte riconducibili
alla crisi in atto, il nostro dissenso trova fondamento negli aspetti
complessivi delle risultanze economiche tardivamente rilevate con
un’abnorme crescita dell’attivo aleatorio e infruttifero (crediti
d’imposta e deteriorati), nonché in varie questioni di dettaglio.
Fra
queste ultime, marginale, ma significativa per un’associazione come
la nostra, sorprende e preoccupa la riduzione
dell’accantonamento per i Fondi di quiescenza del personale di €
13 milioni (voce 120, sez.12
del passivo), attuata elevando il tasso di sconto della riserva
matematica (+0.25%), in netta controtendenza rispetto alle variazioni
avvenute nei tassi di mercato (-1%) e alla ricostituzione decisa lo
scorso anno, pur in presenza dei corposi esodi anticipati inseriti
nel piano industriale, che inevitabilmente graveranno sul Fondo
pensionistico.
C’è
anche la questione sollevata da centinaia di ex dipendenti
sull’illiceità del blocco dell’importo base delle pensioni
aziendali minime (circa € 300 mensili lordi), che andrebbe discussa
e prudentemente valutata senza contare sulla selezione naturale degli
aventi diritto. Non si tratta di una rivendicazione,
fuori luogo in questa sede, ma di considerazioni sul bilancio, poiché
la banca è tenuta a garantire le prestazioni attuali e prospettiche
del Fondo, anche con il proprio patrimonio; conseguentemente le
carenze sugli accantonamenti dedicati comportano oneri per gli
esercizi successivi che impattano sui risultati futuri.
Non
siamo d’accordo sulla libertà che si riserva la Banca, rifacendosi
ai principi contabili IAS, di confondere nel proprio bilancio il
patrimonio di destinazione del Fondo (contrattualmente previsto e
ancora contabilmente distinto nel bilancio Carige del 2010), che
deriva dall’accumulo di
retribuzioni differite
accantonate durante la fase di lavoro, intangibili
a sensi dell’art. 2117 C.C.
(come sancito dalla Cassazione per un caso identico).
Il
nuovo slogan aziendale “trasparenza, ascolto e dialogo”, che
apprezziamo, rischia di rimanere lettera morta dal momento che la
Banca si rifiuta persino di riconoscere l’esistenza delle
Associazioni dei pensionati e di osservare gli impegni scritti sulla
costituzione di un ben definito Organismo
di rappresentanza democraticamente eletto dagli iscritti al Fondo,
nonostante l’esistenza di un loro preciso diritto contrattuale,
collettivo e individuale. Eppure il riconoscimento e l’attuazione
di una rappresentanza elettiva dei diretti interessati avrebbero,
senza costi aggiuntivi, un sicuro ritorno d’immagine in termini di
trasparenza e di fiducia, visto il contributo che migliaia
di ex dipendenti possono continuare a dare nei territori di residenza
per consolidare la fiducia della clientela nella Banca.
Per
i motivi enunciati, ma anche per non avallare l’operato delle
precedenti gestioni, voteremo
contro l’approvazione del Rendiconto 2013, pur condividendo la
necessità di attuare rapidamente un incisivo piano di
ristrutturazione.
A
nostro giudizio sarebbe opportuno procedere velocemente alla fusione
delle banche del Gruppo, che autonome sono fonte di duplicazioni di
rischi e di costi, e dare la priorità alle azioni di recupero dei
grandi crediti deteriorati, fonti di possibili miglioramenti
economici, finanziari e patrimoniali. Ben vengano le cessioni delle
Assicurazioni e degli sportelli nelle aree che si vogliono
abbandonare, difficili però da realizzare, mentre ci si augura che
le razionalizzazioni nell’area territoriale d’elezione siano
selettive e graduate se si vogliono cogliere, come sembra, le
opportunità dei tradizionali punti di forza della Banca, servendo
professionalmente un maggior numero di famiglie e di medie e piccole
imprese.