La
legge 503/92 di perequazione pensionistica, nel 2011, prevedeva la
rivalutazione totale sino a 5 volte il minimo pari € 29.963.000
annui e dello 0,75% oltre tale importo.
Con
la legge 201/11 “Salva Italia” è stata bloccata la rivalutazione
per gli anni 2012-2013 delle pensioni d’importo superiore a 3 volte
il minimo, pari a € 18.265.000, comprese le pensioni integrative a
prestazione definita risultanti dal casellario INPS, con una perdita
cumulata nei due anni di blocco del 4,32% per tutti i nostri
pensionati.
Ora
il Governo, secondo le notizie di stampa apparse il 9 ottobre 2010,
si appresta a varare la legge di stabilità alzando il parametro a 6
volte il minimo, ma continuando ad escludere da qualsiasi
rivalutazioni il cumulo delle pensioni per un numero di anni da
stabilire, con la chiara intenzione di ridurre progressivamente
l’onere previdenziale attraverso modalità surrettizie meno esposte
alla dichiarazione d’incostituzionalità già intervenuta in
precedenti occasioni.
Pertanto
tutte le pensioni d’importo complessivo superiore a € 38.634.000
annui lordi (poco più di € 2.000 netti al mese, a tanto sembra
essere sceso il concetto di “pensioni d’oro”), non sarebbero
più rivalutate, esponendo la categoria a un graduale appiattimento
sui minimi, a dispetto dell’entità dei contributi versati dalle
aziende e dai lavoratori.
Ma
l’iniquità maggiore consiste nel cumulo fra la pensione
obbligatoria e la pensione integrativa privata, che comporta quasi
sempre il superamento dei limiti di legge, anche nei casi in cui la
sola pensione INPS è d’importo inferiore.
Inoltre
il blocco della rivalutazione riduce anche l’esborso, come già
avvenuto nel 2008, 2012 e 2013, dei Fondi privati le cui prestazioni
non gravano sulle finanze dello Stato essendo gestiti in autonomia di
bilancio e di rischio.
Sarà
nostra cura seguire l’iter di questa nuova legge, auspicando che
venga eliminata dal testo la forzatura del cumulo pensionistico ed
elevato o modulato in modo più ragionevole il minimo perequato,
senza per questo sottrarci al dovere di concorrere con equità e
temporaneamente agli oneri straordinari per i disoccupati e gli
esodati insieme alle altre categorie di contribuenti.