Dopo la pausa estiva (che ci auguriamo sia stata positiva per tutti) riprendiamo i nostri Comunicati con un argomento di ricorrente attualità in autunno, ossia la prossima rivalutazione delle pensioni (dal 2026), che continuerà attendibilmente ad essere particolarmente penalizzante per coloro che percepiscono un trattamento pensionistico mensile superiore a 4 volte il trattamento minimo INPS, ossia oltre 2500 euro lordi (corrispondenti a meno di 2000 euro netti), causa le limitazioni introdotte da molti anni dal legislatore.
Il problema è stato più volte
affrontato da ASPE Carige (si vedano da ultimo i Comunicati n. 262 e 264 del
2023 nonché n.276 del 19/9/24),ed ora
torna di piena attualità a seguito del recentissimo studio effettuato dalla
CIDA, in collaborazione con il Centro
Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, diretto dall’ex Segretario di Stato
Prof. Alberto Brambilla, uno dei maggiori esperti italiani in materia
previdenziale (che in passato venne anche in Carige a parlare di questo
argomento, nel contesto della nostra precedente previdenza integrativa).
Questo studio si è concentrato
sulla quantificazione delle perdite di potere di acquisto prospettiche
(prossimi 10 anni) delle pensioni INPS
di importo superiore ai sopra citati 2500 euro lordi mensili, a fronte delle
attuali limitazioni di legge (che gli ultimi vari governi hanno costantemente
introdotto per fare cassa, specialmente negli anni in cui l’inflazione è stata
di molto superiore a quella attuale), particolarmente pesanti anche perché
applicate all’intero reddito pensionistico e non per scaglioni, come in
passato.
In sostanza questo nuovo studio
ha rilevato che oltre alla già consolidata e nota perdita del potere di acquisto delle pensioni
dall’inizio dell’anno 2000 ad oggi (pari
a circa il 25% per i trattamenti pensionistici medio-alti), i criteri da ultimo
introdotti nel 2024 dal Governo comporteranno una perdita nei prossimi 10 anni
di un importo compreso tra i 13.000 e 115.000 euro per le pensioni mensili
comprese tra i 2.500 e 10.000 euro lordi
mensili (ossia pari ad un netto compreso tra i 2.000 e 6.000 mensili circa ).
Il legislatore da tempo (metà
anni ’90) aveva altresì abolito le migliorative rivalutazioni pensionistiche
contrattuali previste dalla previdenza integrativa aziendali, che invece,
secondo le previsioni del nostro FIP,
avrebbero eliminato gli effetti negativi delle suddette limitazioni delle
pensioni INPS.
Anche la Corte Costituzionale – a
cui sono ricorse alcune associazioni di pensionati, CIDA per prima – ha
recentemente di fatto avvallato le
limitazioni di legge alle rivalutazioni pensionistiche, sostanzialmente condividendo il pensiero del
legislatore, per cui dovrebbero
essere i pensionati più abbienti a
dovere supportare le pensioni di importo contenuto (sic): è quindi evidente che
la maggior parte degli attuali giudici
costituzionali non vuole contraddire (come invece avvenuto in passato) lo specifico operato delle forze
politiche e legislative che nei fatti li
hanno nominati.
In questo contesto purtroppo non
possiamo che prendere atto di quanto sopra, peraltro con l’auspicio di un cambiamento che comporti il legittimo
mantenimento del potere di acquisto delle pensioni tutte, specialmente nei
confronti di chi ha versato congrui contributi, tenendo presente che lo studio
CIDA in argomento ha rilevato che “1,8
milioni di pensionati con redditi lordi annui da 35.000 euro in su garantiscono da soli il 46,33 % dell’IRPEF dell’intera categoria (pari a 16.305.624
pensionati complessivi), eppure sono proprio loro i più colpiti dai tagli e
dalla mancata rivalutazione. Al contrario chi ha versato pochi o nessun
contributo è stato pienamente tutelato dall’inflazione”.
IL PRESIDENTE