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libera associazione no profit, costituita nel 2013 fra pensionati ed esodati, già dipendenti di Banca Carige - Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, per tutelare i diritti e gli interessi economici e morali dei propri Associati in materia previdenziale, assicurativa e sanitaria, assistendoli nei rapporti con le competenti strutture Bper, l’INPS e gli altri enti tributari, assicurativi e finanziari, pubblici e privati.

venerdì 17 novembre 2023

COMUNICATO N. 262 - Perequazione sui trattamenti pensionistici 2023 (conguagli) e 2024

 Ci stiamo avvicinando a fine anno e per i pensionati si ripropongono le usuali problematiche connesse all’adeguamento degli assegni mensili  all’inflazione (verificatasi e programmata), c.d. perequazione, che ormai da numerosi anni  vede penalizzate le pensioni più elevate, tramite un meccanismo decrescente di rivalutazione .

Allo stato tali problematiche, in pratica, si riferiscono a due aspetti :

-    conguaglio 2023 dell’adeguamento mirato a recuperare l’inflazione effettiva del 2022 (integrazione della rivalutazione già applicata in via preventiva)

-       rivalutazione per il 2024.

CONGUAGLIO PER IL 2023

Il recente decreto del governo (16/18 ottobre 2023) prevede che dall’1.12.23 (anziché a gennaio, come in passato)  i pensionati ricevano  il conguaglio all’adeguamento degli assegni mensili per il  2023, connesso   al recupero dell’inflazione effettiva verificatasi nel 2022.

Gli aumenti, con  decorrenza 1.1.23, consistono in un ulteriore incremento teorico dello  0.8%, peraltro riducibile,  in funzione delle singole fasce di reddito globale  pensionistico mensile percepito, nei seguenti termini :

-     copertura  al 100% (ossia  + 0.8%) per le pensioni mensili sino a 4 volte  il trattamento minimo lordo INPS (ossia lordi  Euro 2101,52),

-   copertura ridotta all’85%  per i trattamenti compresi  tra 4 e 5 volte detto minimo (ossia sino a 2626,90 Euro),

-     copertura ulteriormente ridotta al 53% per i trattamenti tra 5 e 6 volte il menzionato minimo (ossia  sino a 3152,28 Euro),

-        copertura abbassata al 47% per i trattamenti tra 6 e 8 volte lo stesso minimo  (ossia sino a 4203,04 Euro),

-        copertura contenuta al 37% per i trattamenti tra 8 e 10 volte detto minimo (ossia sino a 5253,80 Euro),

-        copertura minima del 32% per le pensioni che superano di 10 volte  il minimo INPS (ossia da 5254 Euro  in su).

RIVALUTAZIONE PER IL 2024

Per il 2024 le attuali previsioni  di una perequazione  annua  del 5,6 %,sempre proporzionalmente poi  ridotte in base all’entità delle singole  pensioni mensili (come attualmente indicato nella Relazione tecnica al bilancio 2024, in corso di approvazione dal Parlamento), se non modificate, confermano, peggiorandolo, il meccanismo decrescente di rivalutazione già in atto per il 2023 (sopra illustrato), penalizzando  di fatto  ulteriormente  le pensioni di importo superiore a 10 volte l’assegno minimo INPS, per le quali verrebbe  ridotta  la teorica rivalutazione ipotizzata dell’ulteriore 22 %  (anziché del  32% come nel 2023).

È opportuno ricordare che la c.d. perequazione automatica delle pensioni è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico dalla legge n.153/1969, con implicito  riferimento al disposto dell’art. 38 della Costituzione; tuttavia da  oltre 30 anni il legislatore  (per l’esattezza dal 1992, all’epoca su proposta del governo Amato) per reperire risorse finalizzate a  coprire varie esigenze di bilancio ha introdotto meccanismi di rivalutazione annua decrescente per i beneficiari di pensioni di importo superiore alle pensioni minime INPS, attuando di fatto una diversa penalizzazione economica  collaterale per i soli pensionati  (rispetto alla normale  imposizione fiscale, stabilita invece  con gli stessi criteri per tutti i cittadini), e tale penalizzazione si riverbera progressivamente di anno in anno per tutta la vita residua del singoli interessati, come viene di seguito sottolineato.

Tale meccanismo sperequativo  è stato altresì sottoposto  al vaglio della Corte Costituzionale che, nel tempo, ha modificato il proprio orientamento inizialmente  garantista per i singoli, affermando successivamente  principi giuridici  volti soprattutto a salvaguardare  il bilancio dello stato, anziché confermare e garantire  quei dogmi di equità ed eguaglianza in passato espressi nei confronti dei singoli.

In sostanza, a prescindere dalle diverse colorazioni politiche che hanno connotato i vari governi in Italia  negli ultimi 30 anni, risulta evidente come la considerazione  dei pensionati  (sebbene ammontino globalmente  a ben 16.090.000 unità, secondo le rilevazioni INPS al 31.12.2022) sia  via via peggiorata sotto varie  angolazioni, ed in particolare per quanto concerne l’entità della perequazione annua riconosciuta alle singole  pensioni che, è bene ricordare, di norma sono il risultato di correlativi  reali contributi previdenziali precedentemente versati per tutti i trattamenti superiori al minimo (minimo che, invece,  a fronte di contribuzioni più contenute, fruisce  di una perequazione pari al 100% dell’inflazione annualmente rilevata, aspetto certamente non  censurato ma che non può essere non sottolineato nel presente contesto).

Per dare una idea più puntuale e concreta   delle ultime penalizzazioni economiche (2023) in tema di ridotta perequazione basta ricordare quanto recentemente affermato da  uno dei maggiori esperti previdenziali in Italia, Alberto Brambilla, che ha calcolato la perdita determinatasi per i pensionati per la ridotta perequazione riconosciuta per l’inflazione del  solo 2022.

Tale calcolo è    correlato all’entità dei singoli trattamenti pensionistici fruiti e, per esempio, nel  caso della  decurtazione più marcata stabilita dal legislatore, afferente una   pensione mensile di fatto pari ad Euro 3900 netti (ossia pari a 10 volte il trattamento mensile minimo INPS) la riduzione al 32% della rivalutazione riconosciuta per il solo  2023 comporta da subito  una perdita annua di 7.943 Euro  (611 Euro per 13 mensilità): secondo Brambilla  “se il pensionato vivrà per altri 10 anni, immaginando un’inflazione annua contenuta  del 2%, la perdita sarà globalmente pari a 100.000 Euro“, e sarà ovviamente proporzionalmente superiore per chi percepisce una pensione mensile più elevata (rispetto ai  3900 Euro netti), ovvero sarà inferiore per i trattamenti mensili di minore entità netta.

Il Presidente