Ci stiamo avvicinando a fine anno e per i pensionati si ripropongono le usuali problematiche connesse all’adeguamento degli assegni mensili all’inflazione (verificatasi e programmata), c.d. perequazione, che ormai da numerosi anni vede penalizzate le pensioni più elevate, tramite un meccanismo decrescente di rivalutazione .
Allo stato
tali problematiche, in pratica, si riferiscono a due aspetti :
- conguaglio 2023 dell’adeguamento mirato a
recuperare l’inflazione effettiva del 2022 (integrazione della rivalutazione
già applicata in via preventiva)
- rivalutazione per il 2024.
CONGUAGLIO PER IL 2023
Il recente decreto del governo (16/18
ottobre 2023) prevede che dall’1.12.23 (anziché a gennaio, come in passato) i pensionati ricevano il conguaglio all’adeguamento degli assegni
mensili per il 2023, connesso al
recupero dell’inflazione effettiva verificatasi nel 2022.
Gli aumenti, con decorrenza 1.1.23, consistono in un ulteriore
incremento teorico dello 0.8%, peraltro
riducibile, in funzione delle singole
fasce di reddito globale pensionistico
mensile percepito, nei seguenti termini :
- copertura
al 100% (ossia + 0.8%) per le
pensioni mensili sino a 4 volte il
trattamento minimo lordo INPS (ossia lordi Euro 2101,52),
- copertura ridotta all’85% per i trattamenti compresi tra 4 e 5 volte detto minimo (ossia sino a
2626,90 Euro),
- copertura ulteriormente ridotta al 53% per i
trattamenti tra 5 e 6 volte il menzionato minimo (ossia sino a 3152,28 Euro),
-
copertura abbassata al 47% per i trattamenti tra
6 e 8 volte lo stesso minimo (ossia sino
a 4203,04 Euro),
-
copertura contenuta al 37% per i trattamenti tra
8 e 10 volte detto minimo (ossia sino a 5253,80 Euro),
-
copertura minima del 32% per le pensioni che
superano di 10 volte il minimo INPS
(ossia da 5254 Euro in su).
RIVALUTAZIONE PER IL 2024
Per il 2024 le
attuali previsioni di una
perequazione annua del 5,6 %,sempre proporzionalmente poi ridotte in base all’entità delle singole pensioni mensili (come attualmente
indicato nella Relazione tecnica al bilancio 2024, in corso di approvazione dal
Parlamento), se non modificate, confermano, peggiorandolo, il meccanismo
decrescente di rivalutazione già in atto per il 2023 (sopra illustrato), penalizzando
di fatto ulteriormente
le pensioni di importo superiore a 10 volte l’assegno minimo INPS, per
le quali verrebbe ridotta la teorica rivalutazione ipotizzata
dell’ulteriore 22 % (anziché del 32% come nel 2023).
È opportuno
ricordare che la c.d. perequazione automatica delle pensioni è stata introdotta
nel nostro ordinamento giuridico dalla legge n.153/1969, con implicito riferimento al disposto dell’art. 38 della
Costituzione; tuttavia da oltre 30 anni
il legislatore (per l’esattezza dal
1992, all’epoca su proposta del governo Amato) per reperire risorse finalizzate
a coprire varie esigenze di bilancio ha
introdotto meccanismi di rivalutazione annua decrescente per i beneficiari di
pensioni di importo superiore alle pensioni minime INPS, attuando di fatto una diversa
penalizzazione economica collaterale per
i soli pensionati (rispetto alla normale
imposizione fiscale, stabilita
invece con gli stessi criteri per tutti
i cittadini), e tale penalizzazione si riverbera progressivamente di anno in
anno per tutta la vita residua del singoli interessati, come viene di seguito sottolineato.
Tale
meccanismo sperequativo è stato altresì
sottoposto al vaglio della Corte
Costituzionale che, nel tempo, ha modificato il proprio orientamento
inizialmente garantista per i singoli,
affermando successivamente principi
giuridici volti soprattutto a
salvaguardare il bilancio dello stato,
anziché confermare e garantire quei dogmi
di equità ed eguaglianza in passato espressi nei confronti dei singoli.
In sostanza,
a prescindere dalle diverse colorazioni politiche che hanno connotato i vari
governi in Italia negli ultimi 30 anni,
risulta evidente come la considerazione
dei pensionati (sebbene
ammontino globalmente a ben 16.090.000
unità, secondo le rilevazioni INPS al 31.12.2022) sia via via peggiorata sotto varie angolazioni, ed in particolare per quanto
concerne l’entità della perequazione annua riconosciuta alle singole pensioni che, è bene ricordare, di norma sono
il risultato di correlativi reali
contributi previdenziali precedentemente versati per tutti i trattamenti
superiori al minimo (minimo che, invece, a fronte di contribuzioni più contenute, fruisce
di una perequazione pari al 100%
dell’inflazione annualmente rilevata, aspetto certamente non censurato ma che non può essere non sottolineato
nel presente contesto).
Per dare una
idea più puntuale e concreta delle ultime penalizzazioni economiche (2023) in
tema di ridotta perequazione basta ricordare quanto recentemente affermato
da uno dei maggiori esperti
previdenziali in Italia, Alberto Brambilla, che ha calcolato la perdita
determinatasi per i pensionati per la ridotta perequazione riconosciuta per
l’inflazione del solo 2022.
Tale calcolo
è correlato all’entità dei singoli trattamenti
pensionistici fruiti e, per esempio, nel caso della
decurtazione più marcata stabilita dal legislatore, afferente una pensione mensile di fatto pari ad Euro 3900
netti (ossia pari a 10 volte il trattamento mensile minimo INPS) la riduzione
al 32% della rivalutazione riconosciuta per il solo 2023 comporta da subito una perdita annua di 7.943 Euro (611 Euro per 13 mensilità): secondo
Brambilla “se il pensionato vivrà per
altri 10 anni, immaginando un’inflazione annua contenuta del 2%, la perdita sarà globalmente pari a
100.000 Euro“, e sarà ovviamente proporzionalmente superiore per chi
percepisce una pensione mensile più elevata (rispetto ai 3900 Euro netti), ovvero sarà inferiore
per i trattamenti mensili di minore entità netta.
Il Presidente